Molestie e disturbo alle persone
Il reato di cui all’art. 660 cod. pen. configura la molestia o il disturbo alle persone e mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l’offesa alla quiete privata. I beni giuridici protetti sono la quiete privata e l’ordine pubblico, quest’ultimo quale bene da tutelare rende necessario che le molestie siano commesse in un luogo pubblico o aperto al pubblico, oltre che con il mezzo del telefono.
Tale reato non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia.
Esso, però, può assumere la forma di illecito abituale quando sia proprio la reiterazione dei comportamenti a causare l’effetto pregiudizievole.
Per la sussistenza del reato è necessaria una condotta che abbia arrecato molestia o disturbo proprio perché realizzata per “petulanza” o “altro biasimevole motivo”. Quindi, i parametri per individuare la rilevanza penale di un comportamento sono la petulanza dello stesso o la natura biasimevole del motivo che giustifica l’azione.
Deve ritenersi petulanza quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone – o per altro biasimevole motivo – ovvero qualsiasi altra motivazione che sia da considerare riprovevole per se stessa o in relazione alla persona molestata, e che è considerata dalla norma come avente gli stessi effetti della petulanza (Cass. Sez. I 7/1/1994 n. 3494.)
È opinione prevalente che il reato di cui all’art. 660 c.p., può essere commesso esclusivamente con dolo. In verità, vi è chi sostiene che poiché la coscienza e la volontà del comportamento del soggetto agente si rivela diretta ad interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà e quiete sia addirittura necessario il dolo specifico.
Altro orientamento ritiene che i concetti di “ petulanza“ e “biasimevole motivo“ debbano essere letti in termini oggettivi in modo che la tipicità del fatto si concreti nella semplice condotta molesta e disturbatrice.
Quindi, per la configurabilità del reato è sufficiente la coscienza e volontà di tale condotta, nulla rilevando i motivi dai quali il soggetto è stato spinto ad agire, non avendo essi, proprio in quanto “motivi”, incidenza alcuna sulla finalità penalmente rilevante dell’azione, in relazione alla quale si configura il dolo.
Vorrei segnalare una pronuncia della Corte di Cassazione che è intervenuta di recente su un fatto relativo ad una coppia di separati.
Nello specifico la Corte ha escluso la sussistenza del reato evidenziando che le telefonate e gli sms che l’imputata aveva effettuato al coniuge separato, risultavano riguardare questioni rilevanti relative alla gestione dei figli e non potevano essere definite motivate da petulanza o da altro biasimevole motivo, benchè percepite come molestie dal destinatario (Cass. Pen. Sez.I 27/01/2016 n.26776)
Pertanto, per poter ritenere sussistente il dolo del reato occorre accertare non solo la volontà della condotta, ma anche la direzione della stessa verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà.