I PATTI SUCCESSORI
Per patto successorio deve intendersi qualunque convenzione
con cui un soggetto disponga della propria successione o di diritti che gli
potranno spettare su di una successione non ancora aperta, inclusa la rinuncia
alla stessa.
L’art. 458 c.c. prevede la nullità di tali patti.
La ratio di tale scelta legislativa si fonda su presupposti diversi a seconda
delle diverse tipologie di accordi.
Infatti, si possono avere patti successori istitutivi, in cui un soggetto
conviene con un altro di nominarlo erede; dispositivi, in cui un soggetto, che
ritiene di avere diritto su una successione non ancora aperta, ne dispone in
favore di terzi; rinunciativi, con cui un soggetto, presunto futuro erede in
una successione non ancora aperta, rinuncia all’eredità; obbligatori, con cui
l’erede o il legatario si obbligano a negoziare o a rinunciare a diritti
ereditari.
Dunque, la ragione per la quale il legislatore ritiene nulli questi atti si
individua, per i patti istitutivi, nella tutela della libertà di testare al
riparo di ogni tipo di condizionamento e, per i patti dispositivi e
rinunciativi, nella volontà di evitare che taluno disponga di beni che ancora
non gli appartengono.
Il patto successorio, quindi, ponendosi in contrasto con il principio
fondamentale, di ordine pubblico, della piena libertà del testatore di disporre
dei propri beni fino al momento della sua morte, è per definizione non
suscettibile di conversione, ex art. 1424 c.c., in un testamento, atteso che
con la stessa si realizzerebbe proprio lo scopo, vietato dall’ordinamento, di
vincolare la volontà del testatore al rispetto di impegni, concernenti la
propria successione, assunti con terzi.
L’unica eccezione al divieto dei patti successori è il patto di famiglia,
introdotto dal legislatore nel 2006 e sancito dall’art. 768 bis c.c.