Il diritto all’Oblio

Ogni giorno milioni di dati sensibili finiscono in rete mettendo a rischio la nostra privacy. Internet, con un uso sempre più disparato, è diventato un immenso archivio di informazioni, unico nel suo genere, nel quale ogni cosa si conserva e nulla si dimentica. Nasce, pertanto, l’esigenza normativa di regolare i confini tra l’uso di un determinato dato ad opera della collettività e la riservatezza del soggetto interessato o implicato. È recente l’attività legislativa, a livello sia comunitario che interno, preordinata alla gestione delle esigenze insorte in ambito telematico. Si parla, in tale contesto, di reputazione on line che concerne alla sfera del soggetto risultante da quello che circola nella rete rispetto allo stesso, o che in ogni modo gli viene attribuito. E allora, un individuo può vantare il diritto a non essere più ricordato, sul web, per avvenimenti che in un tempo ormai passato, furono oggetto di cronaca ? Il diritto all’oblio viene definito, dalle prime pronunce giurisprudenziali, come il legittimo interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore ed alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia, in passato legittimamente divulgata, salvo che eventi sopravvenuti rendano nuovamente attuali quei fatti, facendo sorgere un nuovo interesse pubblico alla divulgazione dell’informazione (Cass. Sez. V, 9 aprile 1998, n. 3679; cfr.Trib. Roma 1° febbraio 2001). Anche la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del maggio 2014, ha riconosciuto il diritto ad essere “ de-indicizzati” dal motore di ricerca, nel caso di specie Google, imponendo a quest’ ultimo di provvedere all’ istanza di richiesta di rimozione dei dati personali, formulata dall’ utente interessato. Infatti, l’ organo sentenziò che i motori di ricerca, in virtù del diritto all’ oblio , devono rimuovere i link riguardanti dati personali ove tali dati fossero ritenuti “inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti, o eccessivi in relazione agli scopi per cui sono stati pubblicati”.Tale pronuncia ha rappresentato l’ inizio dell’ufficializzazione del diritto all’oblio, in ambito comunitario. Era evidente, perciò, che la questione dell’oblio e dei metodi per garantirlo, era un bisogno diffusamente sentito e condiviso da parte dei cittadini europei, per cui il Consiglio e l’Assemblea si sono determinate emanando un Regolamento Europeo. Il Regolamento UE n. 2016/679, pubblicato il 4 maggio 2016 nella Gazzetta Ufficiale Europea, unitamente alla Direttiva 2016/680, è stato definito il “ pacchetto europeo protezione dati”. Detto Regolamento risulta self executive, ossia non necessita di recepimento alcuno da parte degli stati membri, ai quali è stato concesso un periodo di due anni per adeguare le discipline interne interessate dalle novità comunitarie.
Tale normativa comunitaria riconosce in modo chiaro il cd “diritto all’oblio”, (art.17, rubricato “diritto alla cancellazione”), considerandolo come il diritto per l’interessato ad ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei propri dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare i dati personali se sussiste uno dei seguenti motivi: i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati; l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento e non sussiste altro motivo legittimo per trattare i dati; l’interessato si oppone al trattamento dei dati personali e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento; i dati sono stati trattati illecitamente; i dati devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione o degli Stati Membri cui è soggetto il titolare del trattamento; i dati sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione. Inoltre, l’art. 17 sancisce che il titolare del trattamento, “se ha reso pubblici dati personali è obbligato a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione adotta le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i responsabili del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali”. Tuttavia, vi è da considerare anche l’utilità dei dati personali raccolti, ovvero, secondo il comma 3 del medesimo articolo, il responsabile del trattamento non dovrà dare seguito alla richiesta di cancellazione e potrà conservare i dati personali: a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione; b)per l’adempimento di un obbligo legale che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse.; c) per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica. d)per finalità storiche, statistiche e di ricerca scientifica. e)per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria. Di recente si è espressa anche la suprema Corte di Cassazione con la sentenza n° 13161 del 24 giugno 2016. Alla base del riconoscimento del diritto all’oblio, ai fini del risarcimento del danno, l’illecito trattamento di dati personali viene individuato, non nel contenuto e nelle modalità di pubblicazione e diffusione on line dell’articolo di cronaca e neppure nella conservazione e archiviazione informatica di esso, ma nel mantenimento del diretto ed agevole accesso a quel servizio giornalistico pubblicato parecchio tempo addietro e della sua diffusione sul web con conseguente pregiudizio per i soggetti coinvolti. Come nel caso di specie, il problema del diritto all’oblio nasce storicamente in rapporto all’esercizio del diritto di cronaca giornalistica. Il presupposto perchè un fatto privato possa diventare legittimamente oggetto di cronaca è l’interesse pubblico alla notizia. Quando la collettività è stata informata del fatto termina l’interesse pubblico. Quindi, ripresentare l’accaduto sarebbe inutile per la collettività, ma anche lesivo per i protagonisti della vicenda. Perciò, per la Cassazione la facilità di accesso via web alla notizia, tanto più ampia rispetto ai giornali cartacei, comporta in breve tempo il venir meno dell’interesse pubblico nei confronti della vicenda, facendo prevalere il diritto alla privacy rispetto a quello di cronaca /della libera informazione Detto ciò, ritengo che del diritto all’oblio e della sua regolamentazione si dovrà parlare ancora a lungo. Infatti, la percezione della reputazione elettronica, non operando soltanto nell’ambito informatico, ha notevoli ripercussioni sociali ed economiche ed eventuali violazioni della stessa comporta dei gravi danni di natura non solo patrimoniale per i soggetti lesi.