Riconoscimento dei figli e dichiarazione giudiziale di paternità
A seguito della recente riforma della filiazione il nuovo testo dell’art. 269 c.c. non ha subito modifiche sostanziali.
Si è stabilito, infatti, che la paternità e maternità possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso.
L’azione per la dichiarazione giudiziale della paternità è volta a ottenere, in difetto di riconoscimento, l’accertamento dello stato di figlio nei confronti del genitore biologico.
In tema di dichiarazione giudiziale di paternità è prevista l’utilizzabilità di ogni mezzo di prova, anche indiretta ed indiziaria.
Pertanto, l’accertamento di paternità potrà essere raggiunto attraverso una serie di elementi presuntivi, che valutati nel loro complesso per la loro attendibilità, saranno idonei a fornire la rigorosa dimostrazione della paternità.
La riforma, introdotta con il D.L.gs n. 154 del 2013, ha confermato l’indirizzo giurisprudenziale in base al quale le indagini ematologiche e genetiche sono prove in senso proprio. Infatti, l’odierna ricerca ed esperienza scientifica consentono di raggiungere un alto grado di probabilità vicinissimo alla certezza assoluta.
Pertanto, in tali procedimenti, il giudice non è tenuto a seguire un ordine gerarchico o cronologico nell’ammissione dei mezzi di prova, potendo egli disporre una consulenza tecnica di ufficio di natura ematologico – immunogenetica, sui cui risultati, con altri elementi di prova ottenuti, può basare il suo convincimento.
Ferma l’inviolabilità della persona e l’incoercibilità del prelievo ematico, nel giudizio di dichiarazione giudiziale di paternità, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi a indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116, comma 2° c.p.c.
Il nuovo testo dell’art. 38 disp. Att. c.c. attribuisce al Tribunale Ordinario la competenza a decidere sulla dichiarazione giudiziale di paternità, anche quando il presunto figlio è minorenne.
Quindi, il soggetto legittimato alla proposizione dell’azione di accertamento giudiziale di paternità è il figlio nei cui confronti l’azione è imprescrittibile, ossia senza limitazioni temporali.
Diversamente, se tale azione viene esercitata dai discendenti del figlio, può essere promossa entro due anni dalla morte di quest’ultimo.
Se il figlio è un minore, l’azione può essere promossa nel suo interesse dal genitore esercente la responsabilità genitoriale, oppure dal tutore.
Il tutore deve chiedere l’autorizzazione al giudice che può anche nominare un curatore speciale.
Per procedere all’azione è necessario il consenso del minore se abbia compiuto quattordici anni e la domanda si propone nei confronti del presunto padre o nei confronti dei suoi eredi (se defunto).
La sentenza di accertamento del rapporto di filiazione viene equiparata al riconoscimento del figlio ed ha effetti retroattivi. Tale retroattività riguarda anche i diritti successori. Però, il termine decennale di prescrizione del diritto di accettare l’eredità stabilito dalla norma dell’art. 480 c.c., per il figlio decorrerà dalla data della sentenza che dichiara la filiazione, se successiva all’apertura della successione.
È importante, anche, l’aspetto relativo all’assunzione della responsabilità genitoriale da parte del presunto padre. Sarà lo stesso giudice, chiamato a pronunciare la dichiarazione di paternità, a emettere i provvedimenti che ritiene più utili riguardo all’affidamento, al mantenimento, all’istruzione e all’educazione del figlio e alla tutela degli interessi patrimoniali.
Se dunque, la sentenza di accertamento della filiazione dichiara uno “status” che attribuisce al figlio nato fuori dal matrimonio gli stessi diritti che spettano al figlio nato in un regolare matrimonio e tali diritti hanno efficacia retroattiva, ovvero sin dal momento della nascita del figlio, ci sarà la conseguenza che dalla stessa data decorre anche l’obbligo di rimborsare pro quota l’altro genitore che abbia provveduto totalmente al mantenimento.
La giurisprudenza di legittimità ha ampiamente riconosciuto la risarcibilità del danno al figlio per il mancato riconoscimento da parte del padre, affermando l’applicabilità dell’art. 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito) alle relazioni familiari. La giurisprudenza ha sancito il diritto del figlio al risarcimento del danno che abbia patito in conseguenza dell’assenza del genitore, non compensabile dalla presenza dell’altro, né dal semplice sostegno economico. Il giudice dovrà procedere, sulla quantificazione del danno, in via equitativa. Il termine di decorrenza della prescrizione è stato individuato nel momento in cui il figlio raggiunge l’indipendenza economica. Infatti, in quel momento cessa il dovere del genitore di contribuire al suo mantenimento.